Nuove uscite, un concerto di Galeffi e del perché vale la pena aspettare

Questa volta comincerò con una domanda.
La domanda è molto semplice, apparentemente banale, ma forse anche un po’ scomoda.
Cosa non poco importante: la si deve fare a se stessi.

La domanda è: “Io sono capace di aspettare?”.

Aspettare cosa? Qualunque cosa.
Non c’è bisogno di dover raccontare la difficoltà che abbiamo oggi ad accettare l’attesa, basti pensare al rapporto che abbiamo con la tecnologia: voglio una cosa click e ce l’ho in pochissimo tempo, se sono cliente prime pure meno, io me ne starò comodamente a casa e questa mi cadrà letteralmente dal cielo.

La cosa ancor più terribile – e che a me provoca un misto di ansia e tristezza quando ci penso – è che la facilità con cui le cose sono raggiungibili è direttamente proporzionale alla loro precarietà. Il fatto che un qualcosa sia concepito per non durare è sotto gli occhi di tutti. A cominciare dal lavoro, che tra l’altro spesso resta un qualcosa di difficilmente raggiungibile.

Si tratta di un esempio stupido forse, ma sicuramente concreto. Nella cantina di mio padre c’è ancora il Ducati cinquantino che usava quando era giovane – una specie di grossa bicicletta motorizzata che raggiunge al massimo i 65 km/h – ancora perfettamente funzionante.
Se guardo invece alle mie cose e mi metto a pensare a quale possa essere l’aggeggio che mi è durato di più, credo che il record spetti ancora al Nokia 3310 di quando ero un giovane musicista imberbe e punk, comunque durato – a ben pensarci – meno di cinque anni, prima di essere, come qualunque altra cosa tecnologica di questi anni, bellamente superata dal modello successivo.

Pensavo che forse dovremmo riabituarci alle attese e alla pazienza. Dove sta scritto che tutto debba essere risolto immediatamente? Oggi si parla di problem solving, ma non ci si rende conto che innescando questa cultura della prestazione, ci si allaccia inevitabilmente a un’altra cultura, di gran lunga più pericolosa e inquietante: la cultura dello scarto. C’è questa cosa che non corrisponde più alle mie aspettative, si è indebolita, oppure è troppo difficile raggiungerla. Che faccio allora? Naturalmente la risposta più semplice: cambio, mi distraggo o punto ad altro.

Sabato sera sono stato al Covo a Bologna. Il concerto era quello di Galeffi. Di lui ne avevo parlato in modo piuttosto approfondito nella recensione al suo disco d’esordio per Rockit. All’inizio, come avevo scritto nell’articolo, non mi era piaciuto. Lo avevo trovato scontato e anche vagamente pretenzioso, perché si aspettava di essere apprezzato per la roba che faceva. Ma avevo commesso la leggerezza di averlo giudicato da un solo singolo fuori dal proprio contesto. Una volta avuto “Scudetto” tra le mani mi sono dovuto ricredere.

Ancora non riesco a capire quelli che, parlando di Galeffi o, altro esempio della stessa parrocchia: Gazzelle, si ostinano a definirli epigoni di Calcutta. Senza troppo sforzo ci si rende conto, e basta avere due orecchie e le proprie capacità di giudizio ai minimi termini, della grandissima diversità di ognuno di questi artisti. A ogni modo, dopo essermi a suo tempo ricreduto su Galeffi ho deciso di andarci a fondo, anche per scoprire come se la cavava coi live.

Non avevo grosse aspettative, sono sincero. Mi immaginavo il tutto come una performance regolare, diciamo così; il minimo indispensabile per risultare agli occhi del pubblico presentabile. Del resto servirebbe molto di più?

Ne sono uscito soddisfatto e colpito: un concerto degno di essere chiamato tale. Galeffi non è soltanto portatore di argomenti sinceri – e quanto rara è oggi la sincerità artistica? – ma anche di una capacità tecnica notevole. Il ragazzo si ritrova con una voce che, sul serio, spacca sia su disco che dal vivo. Ho apprezzato molto anche la genuina timidezza, più vera del vero e capace di farti sentire compartecipe con lui e non in imbarazzo.  

E a proposito dell’attesa, è avvenuto un fatto sabato a quel concerto.

Galeffi, al momento di cantare “Puzzle” ha guardato il pubblico e detto di esser arrivato a un punto del concerto che a lui fa sempre molto male. “Puzzle”, infatti, è dedicata alla ragazza che l’ha lasciato pochi mesi fa. E fin qui niente di straordinario, verrebbe da dire. Ma la cosa che sconvolge è nelle parole che seguono: “ogni volta che canto questo pezzo io spero che lei ritorni”.

Mi sono messo nei suoi panni. E ho pensato: ma cosa può portare un cantante che sta avendo il suo meritato e crescente successo a dire in pubblico una cosa così personale e sofferta? In quel momento ho capito due cose: la prima, che Galeffi tiene al proprio pubblico; il fatto di aprirsi a quel modo con chi apprezza la sua musica sembra per lui un qualcosa di naturale, al limite del doveroso. La seconda cosa, non meno importante, è il coraggio di questo atto. Galeffi aspetta. Capisce l’importanza che quella persona ha per lui e l’aspetta. In questo modo un atto, che apparentemente dovrebbe essere normale – e che non è poi tanto distante da ciò che di solito viene chiamata fedeltà – diventa inusuale, quasi eroico. La normalità sarebbe stata quella di vendicarsi. Approfittare della visibilità per dirne male o tentare di far pentire quella persona della decisione che aveva preso.

Il live di Galeffi vale la pena per molti motivi: canzoni rese perfettamente dalla band, voce notevole (nonostante fosse reduce da acciacchi vari e antibiotici), ottima tenuta di palco, timida e fedele al proprio essere, sentimenti sinceri e dulcis in fundo una cover di “Pop porno” che non ti aspetti.

Ne sono sempre più sicuro. Sono per una riscoperta dell’attesa. Per un rallentamento dei tempi. Per un educarsi al riflettere, e a farlo con la giusta calma.

In “Molto forte, incredibilmente vicinoJonathan Safran Foer scrive: E il cuore mi va in pezzi, certo, in ogni momento di ogni giorno, in più pezzi di quanti compongano il mio cuore, non mi ero mai considerato di poche parole, tanto meno taciturno, anzi non avevo proprio mai pensato a tante cose, ed è cambiato tutto, la distanza che si è incuneata fra me e la mia felicità non era il mondo, non erano le bombe e le case in fiamme, ero io, il mio pensiero, il cancro di non lasciare mai la presa, l’ignoranza è forse una benedizione, non lo so, ma a pensare si soffre tanto, e ditemi, a cosa mi è servito pensare, in che grandioso luogo mi ha condotto il pensiero? Io penso, penso, penso, pensando sono uscito dalla felicità un milione di volte, e mai una volta che vi sia entrato”.

L’attesa, contrariamente a quanto si pensi, è azione. Non è immobilità come sovente potrebbe esserlo il pensiero, ma è una presa di posizione. Non è che non agisco, ma agisco aspettando. E questa è tutta unaltra cosa.

In questo nuovo post su Stormi, per il recap delle cose nuove, comincio come sempre con gli album usciti in questi giorni. Sono molti e forse non tutti li trovo necessari.

Si inizia con “Il fuoco in una stanza” degli Zen Circus, un album non immediato che ha bisogno e merita un minimo di attenzione in più. Dentro troverete pezzi davvero notevoli come “Catene”, originali come “Sono umano” e altri invece non del tutto riusciti. Non sono sicuro che questo disco possa essere considerato allo stesso livello de “La terza guerra mondiale”, ma credo sia giusto misurare le cose anche in base al livello di produttività, anche se un anno e mezzo per far uscire un nuovo album mi sembra veramente troppo poco.

Discorso simile potrebbe essere fatto per i Ministri, che però riescono a riguadagnarsi la fiducia – la mia sicuramente – dopo la pseudo-delusione di “Cultura generale” con questo nuovo “Fidatevi”.

Tedua esce con “Mowgli”, un album che ha tutte le caratteristiche per essere un grande album, mentre Amandla con “Non ci pensare”, che mi riserbo di ascoltare di più, visto che alcune parti del disco mi sono sembrate un po’ ripetitive. O ancora In.versione Clotinsky con Frisbee”, un album che mi è piaciuto sin dalle prime note.

Del nuovo – praticamente esordio – di Mèsa, Touché, invece ne ho parlato nella mia recensione per Rockit, dove è stato tra l’altro disco della settimana.

C’è poi il disco d’esordio di WrongonyouRebirth”, ascoltato attentamente sin dalle primissime ore dalla sua uscita. Un album certo, al limite del solido. Non poteva essere altrimenti.

E ancora Cimini, uscito infine con l’album “Ancora meglio”. O il primo album in italiano di un gruppo che seguo da tempo, gli Auden con “Non ti piacerà”, che merita tutto il meglio. O Manitoba con “Divorami”: mi sembra abbiano molto da dire.

Questa settimana è uscita davvero troppa roba. Nonostante la difficoltà a parlare di tutto e impegnarmi a non tralasciare nulla, qualcuno mi ha detto che sono troppo breve nelle mie considerazioni riguardo i promossi e i bocciati. Trattandosi di un blog personale, rinnovo e rivendico il diritto – come se ce ne fosse il bisogno – di dire quel cavolo che pare a me e di farlo nel modo che ritengo più opportuno.

Così, essendoci state in questi ultimi giorni moltissime uscite, ho deciso che per questa volta ve le elencherò tutte, forse per stronzaggine e per lanciare un chiaro messaggio alle provocazioni sulla mia eccessiva brevità, ancora più brevemente nei soliti due grandi gruppi promossi e bocciati. Il modo per questa volta sarà questo: a fianco di ogni canzone troverete una sola parola che esprimerà la mia soddisfazione o il mio dissenso.

Faccio questo in segno di protesta e, soprattutto, per risparmiarvi la lettura di un post che sembra già diventare troppo lungo.


I promossi della settimana:

Maria Antonietta
Pesci
Necessaria.

Dutch Nazari
Mai via
Rivalutato.

Maiole
Tinder
Originale.

Coma Cose
Post concerto
Riuscita.

Francesco De Leo
(ex L’officina della camomilla) prod. Giorgio Poi
Muse
Impeccabile.

https://www.youtube.com/watch?v=aV4dHMwXyqk

Viito
Industria porno
Normie.

The Heron Temple
Milano ti divora
Essenziale.

Willie Peyote
Portapalazzo

Puntuale.

Baustelle
Veronica, n.2
Pulpiana.

Joan Thiele
Polite
Sinuosa.

Andrea Laszlo De Simone
Gli uomini hanno fame
Reale.

Gomma feat. Generic Animal
Falò (Spento)
Diretta.

Bruno Belissimo
Tempi moderni
Agitata.

Bud Spencer Blues Explosion
E tu?
Vistosa.

Motta
La nostra ultima canzone
Intima.

Pop X (che ha iniziato a comporre musica per organo)
Cantata
Tecnica.

Pretty Solero / Ketama126 / Franco126
Non è un gioco
Sincera.

Willy Damasco
Gli anni dell’Uni
Riflessiva.

Dorso
Acrobazie
Confermato.

I Tristi
Lucida
Semplice.

Federico Fabi
Modi di fare
Calma.

Lavanda
Grattacieli
Incompleta.

Laago!
Il mostro di Cleveland
Promettente.

Atlante
Atlas
Acerba.

Tobjah
Non so dove andrò
Difficile.

Centoventitré
Cosa ti importa
Curiosa.

Vi segnalo poi qualche cosa interessante lato coveristi: il video di “Giovani fluo” di Asia Ghergo in arrivo martedì e la meta-cover del cantautore misterioso che si è inventato una fantomatica canzone de I Cani feat. Montale.

Oggi è poi il grande giorno del varo del sito de Le Rane. Il post iniziale uscito oggi. Ci scriverò anche io, ma non voglio anticipare nulla.

Di seguito invece i bocciati della settimana:

I Segreti
Torno a casa” 
Limitata.

I Pixel
I sogni degli altri
Sentita.

Carena
Orsa Maj7
Ripetitiva.

Endrigo
Il Ritorno dello J**i

Forse recuperabile.

Mimosa
Evoluzione
Minima.

Come sempre, per rifarsi la bocca: il nuovo video dei Tre allegri ragazzi morti mi sembra più che sufficiente.

Ricordo che potete seguire il mio blog personale Stormi anche su FacebookInstagram e Spotify, dove trovate una playlist con dentro le cose migliori che segnalo ogni settimana.

A questo link potrete riascoltare la puntata de L’impresa eccezionale, di Marisa Simonini per Radio Bang Bang, di quando poco tempo fa sono stato ospite con Stormi in trasmissione.

Per un giudizio più approfondito su alcuni dei pezzi che sono usciti in questi dieci giorni potrete andare su Dance Like Shaquille O’Neal e sfogliare la mia rubrica “Paese” sulle ultime novità indipendenti italiane. Se avete da ridire sulle scelte o avete argomentazioni per farmi cambiare idea la mia mail ce l’avete. Ma scrivete con calma e con calma attendete una risposta. Rispondo a tutti. Solo lo faccio con i miei tempi. Se valga la pena aspettare o no lo deciderete voi.

Non importa cosa si stia aspettando. Se si aspetta vuol dire che vale quel tempo che, apparentemente, potrebbe sembrare perso. Eppure abbiamo la certezza che tempo perso non è. Aspettare vale sempre la pena. Perché, a differenza di quanto si possa pensare, l’attesa e il saper aspettare si basano su una certezza.

E chi oggi – nel 2018 – può dire di avere una certezza in qualcosa o qualcuno?
Dico davvero, sarebbe bello mi scriveste le vostre, se ne avete.
Magari, e lo spero, tutto questo post è servito a chiederci ancora una volta quali siano le nostre certezze.
Se fosse così per me sarebbe già moltissimo.